giovedì, maggio 18, 2006

LA DINASTIA DEGLI SFORZA -- di Ray Blair

PARTE I.____Non era stato facile togliere di mezzo Sansone, non tanto per la necessità intrinseca di trovare un’adeguata sistemazione ai Filistei, quanto per l’oggettiva difficoltà nel percorrere l’inestricabile selva del nazireo con la macchinetta fornita da Pucciari. E’ che soprattutto faceva girare i maroni questa cosa: passi per i buoi o le cavalle, ma pretendere di dare più punti per il cinghiale di Erimanto che non per i capelli di Sansone, con tutti i cancheri quando quella minchia di macchinetta si piantava e c’era da strappar via tutto, e insomma vaffanculo. Fatto sta che alla fine Ercole si era trovato di fronte a Maciste per mettere a tacere finalmente tutti i ma però sul suo conto. L’accompagnava la giusta sboroneria, come di prassi, ma anche quel tarlo, che i coreuti non mancavano di rimarcare ad ogni vibrar di pernacchia, di quella parodia che gli aveva spalmato addosso quello stronzo di Asterix. E poi Maciste aveva dalla sua un certo cinema, che d’accordo che son pippe, ma il ragazzo aveva un curriculum da paura: Totò, il vampiro, lo sceicco, Zorro, Ursus, i mostri, i mongoli e anche i tagliatori di teste. Insomma era lì, lui Ercole, onusto d’allori e basilico, con le suole foderate delle ciunghe calpestate per mille piane, lui l’idolo di Pindaro, unto come un verro nella Valle dei Guai, di fronte a un coglione che non aveva un’unghia del suo pedigree. Comunque andava fatto e senza tanti cazzi: e allora Ercole aveva cominciato a mulinare i gomiti con tutta una serie di pose, i polpacci, le ali, la danza delle vene, gocciolante d’olio frusto; con l’altro che senza pudore, ma veramente un cretino, tutto bello canforato, lo sbertucciava, gonfiando le narici, sbattendo le orecchie e toccandosi la punta del naso con la lingua. Ed Ercole restava lì a insistere e a mettere in campo tutto il suo mestiere, in uno sforzo immane, a spingere e cucciare gonfiando i polpastrelli. Poi al culmine del massimo sforzo, tutto concentrato sui muscoli di pertinenza, proprio lui, l’idolo dell’Argolide, gli sfionda in faccia una scurza memorabile, recante seco tutto l’afrore delle stalle d’Augia, e stende Maciste con un sol soffio. In un tripudio di miccette, Ercole ne ottenne gloria preclara ed imperitura, e ancora molti anni più tardi lo avremmo rivisto, in catodico imbolsimento, oggetto delle lubriche attenzioni della Regina madre. 2:48 PM