mercoledì, giugno 14, 2006

SEGNALI DI STUPRO

La classe è molto stretta e comincio a sentirmi a disagio. Il mio compagno di banco capisce il mio imbarazzo anche se non puo’ intuirne le ragioni. La maestra sta parlando dello sbarco dei Mille e dell’eccidio di Bronte, con Nino Bixio a fare da Ponzio Pilato. Io fingo di ascoltare ma in realtà mi interrogo su altre cose. Questa mattina mi sono svegliato nel corpo di un bambino di undici anni. Io, che di anni ne ho trentadue, ho aperto gli occhi davanti ad un quaderno a quadretti. Nel frontespizio campeggiava quello che suppongo sia il mio nome: Sante Amurri. E sotto l’anno scolastico: 1971-72. Sfogliando le pagine ho visto, sotto equazioni di primo grado in serie, una sfilza di uno e tre segnati con l’inchiostro rosso. Per saperne di piu’ su quello che dovrebbe essere la mia storia mi basta allungare le mani sotto il banco e trovare un quaderno simile all’altro, solo con le righe al posto dei quadri. Scopro cosi’ di essere nato a Tivoli il 16 gennaio 1960 e di essermi trasferito a Catanzaro il 14 aprile del 1965. Mio padre Ugo fa la guardia penitenziaria e mia madre Stefania guida le corriere nel turno diurno. Ho un fratello, Igino, che, molto piu’ vecchio di me, ha scelto i voti ed è diventato prete, assolvendo da mesi la sua funzione a Mergellina. I miei genitori mi picchiano spesso, soprattutto mio padre e questo lo scrivo nei temini, ma sembra che alla maestra cio’ non interessi piu’ di tanto, visto che anche nel compito che immagino abbia consegnato ieri, erano presenti cinghiate e percosse inflitte dopo la cena di sabato. Ho superato l’intervallo standomene in disparte e parlando solo di tanto in tanto con Gino il bidello, dell’”Uomo ad una dimensione” di Marcuse e dei romanzi di Thomas Berger, lasciandolo interdetto. Una mia piccola inutile vendetta nei confronti dell’ignoranza dei semplici. Ora sto in questo banco stretto e piccolo, anche se è comunque adatto alla mia condizione di bambino, che spero solo temporanea. Indosso come gli altri un grambiule blu cobalto, un colore vomitevole che dona all’insieme l’uniformità tipica delle masse senza coscienza. Nel momento in cui spremo le meningi per sfruttare a mio vantaggio una conoscenza della Storia seppure sommaria, suona la campanella. Mi appresto a uscire ma una mano lieve mi sfiora la schiena e mentre i miei compagni sono già scomparsi, la maestra, una rachitica donnicciola sui trentotto-quaranta mi chiede, sfoderando un pessimo sorriso di pura fiele se domani posso trattenermi anche dopo l’orario, per ripassare assieme la storia degli Stati Uniti. E nel frattempo, estratto “Time” mi mostra una foto delle Torri Gemelle di New York chiedendomi se mi piacciono e se mi ricordano qualcosa che ho anche io, soprattutto la mattina. Poi mi congeda applicandomi un buffetto sulla guancia. Varco l’uscio senza sapere dove andare. Che faccio adesso ? Dove sarà la mia casa ? Cosa succederà domani con la maestra ?Robert Eroica